Don Pasquale Poggiali, da 38 anni in Costa d’Avorio, ci ha lasciato una preziosa testimonianza del suo percorso missionario e della missione.
Don Pasquale, come è iniziato e quale è stato il suo percorso missionario?
Ero un ragazzino, sono arrivati nel mio paese dei missionari della Consolata e ci hanno parlato delle missioni. Sa da ragazzino si sogna di viaggiare e di vedere dei mondi nuovi e così è stato per me. All’età di 11 anni è morto mio padre e sono andato in un collegio del Don Orione. Là conobbi un prete originario del mio paese che mi indirizzò in seminario a Genova. Quando arrivavano lì dei missionari, specialmente dall’America Latina, allora il parroco responsabile spingeva noi ragazzi a partecipare agli incontri. Da lì in me è sorto il desiderio di andare in missione. Diventato prete andai a Firenze in una scuola e con il permesso del Cardinale Florit l’abbiamo trasformato in un centro giovanile per il Mugello. Un’esperienza di diversi anni che mi ha dato molte soddisfazioni. Dopo 14 anni, don Angelo Mugnai mi chiese di sostituire un sacerdote in Costa d’Avorio per tre mesi. Per me l’Africa è stata amore a prima vista.
Chiesi e ottenni di tornare in Costa d’Avorio l’anno seguente. All’epoca eravamo solo tre sacerdoti del Don Orione. La missione era immensa. Il villaggio più lontano si trovava a circa 220km di strada.
Restai per 5 anni nel settore della foresta in dei villaggi molto poveri, e ogni villaggio parlava una lingua diversa. Gli abitanti di quei villaggi venivano da stati diversi, Burkina Faso, Niger, Mali.
In seguito sono andato a Grand Bassam e rimasi lì 3 anni. In seguito, iniziavamo ad avere le prime vocazioni, avvicinandosi molti giovani alla Congregazione, soprattutto grazie al lavoro che facevamo lì. Il primo giovane è stato Raymond Ahoua che attualmente è il nostro vescovo. Un ragazzo intelligentissimo. Mi aiutò come stagista nella missione, dopo i suoi studi in Italia.
Quindi lei è arrivato in Costa d’Avorio ed è rimasto lì?
Sì, sempre in Costa d’Avorio. Ho girato varie missioni. Dopo i 3 anni a Grand Bassam, feci 14 anni ad Anyama, dove c’era il seminario maggiore. Anyama è una cittadina periferica, situazione igienica orribile. Lì iniziavi a ristrutturare la Chiesa, a costruire una scuola. Una volta arrivò un signore da Parigi che mancava da Anyama da 20 anni e disse che era rimasto tutto uguale eccetto la missione, cresciuta e trasformata. Vincemmo anche diversi premi.
Oltre al lavoro pastorale molto bello, immenso, abbiamo portato avanti anche diverse opere sociali. Oltre alle scuole e gli asili, facemmo anche una stamperia, se così vogliamo chiamarla, e una scuola di informatica. Siamo stati i primi ad avere l’email in Costa d’Avorio!
Portai anche le suore della Congregazione in Costa d’Avorio e furono accolte benissimo dalla popolazione, con la fanfara e il resto. Le Piccole Suore della Carità hanno aperto lì un bellissimo centro sanitario, con una grande maternità. Un reparto che non ha nulla da invidiare alle maternità che abbiamo qui in Italia.
Abbiamo lavorato tantissimo e con tanto entusiasmo, nostro e della comunità.
In questi 38 anni che sono in Africa abbiamo aiutato più di 25.000 ragazzi ad andare a scuola.
Una soddisfazione unica perché il più bel regalo che si può fare, soprattutto ai giovani, è l’istruzione.
Adesso invece è a Bonoua.
Sì, mi trovo a Bonoua. Qui abbiamo lavorato molto per la sanità. Abbiamo un bel Centro sanitario, un Ospedale, con due reparti specializzati che rappresentano dei fari per la Costa D’Avorio. L’ortopedia e l’oftalmologia, dove abbiamo un dottore de L’Aquila che ha lasciato tutto e lavora giù a Bonoua. Per i villaggi abbiamo un’equipe di infermieri grazie al suggerimento di un dottore che avevo seguito io in Italia a Borgo San Lorenzo.
I villaggi sono lontani ovviamente dal Centro?
Sì, sono lontani, nella giungla, e non hanno nulla. Ovviamente mancando le strutture sanitarie, si rivolgono agli stregoni, ai guaritori, che magari molte volte trovano la soluzione al problema di salute. Preparano diverse medicine con le erbe davvero potenti. Ma servono comunque degli infermieri e dei medici.
L’equipe di infermieri che abbiamo formato raggiunge 14 villaggi. Con diverse Congregazioni di Suore abbiamo equipe mediche anche nel Nord del Paese vicino Korhogo.
Che ruolo svolge a Bonoua?
Attualmente, mi trovo nella zona della periferia di Bonoua. Lì abbiamo una Chiesa, un pozzo per servire tutta la zona, una Scuola di Avviamento Professionale.
Abbiamo tre ettari di terra e vorremmo costruire dalla scuola materna alle Università brevi. E’ un sogno che abbiamo.
Che messaggio di San Luigi Orione intende trasmettere? E quale messaggio sente più vicino?
Il messaggio di don Orione è quello di stare con la gente, di aiutare la gente. La prima cosa che bisogna fare in Africa è creare delle strutture, dare un’istruzione. Senza istruzione e senza strutture non c’è nulla. E’ inutile inviare medicinali se poi non ci sono gli ospedali. E’ inutile inviare medicinali se poi non ci sono i medici.
Don Angelo Mugnai, il primo andato in Costa d’Avorio, diceva “io non so molte cose, so fare il prete, e posso fare opere sociali, posso occuparmi di un Centro Tecnico”. E da lì creò un centro per muratori, falegnami. Attualmente noi abbiamo 300 giovani che frequentano il Centro Tecnico. Questi ragazzi entro la fine dell’anno scolastico hanno già un lavoro. La Costa d’Avorio è un paese in espansione, in crescita.
Il messaggio che vorrei lanciare è aiutare le missioni a creare delle strutture.
Don Mugnai creò il centro per disabili, giusto?
Sì, fu lui. In Costa d’Avorio il disabile era ed è visto come un malore, qualcosa da nascondere e da non toccare. Don Mugnai chiese la possibilità alle autorità tradizionali, al Re e ai notabili, di avere il permesso di costruire un ospedale per i disabili. Ma il “no” fu categorico.
Successivamente, chiesero di poter fare al Centro Tecnico una palestra. Si equipaggiò la palestra del necessario per la fisioterapia, vennero della fisioterapiste da Pescara.
Dopo un po’ di tempo, invitarono il Re e i notabili per una visita. Mostrarono il lavoro svolto e dissero che con un ospedale attrezzato i ragazzi non avrebbero più camminato per terra ma in piedi! Il primo ad essere operato fu proprio il figlio del Re.
Cosa le ha insegnato la popolazione del Costa d’Avorio? Cosa si porta dentro?
Innanzitutto il senso dell’ospitalità. La fede, hanno una grande fede. Per vivere la vita che hanno, si direbbe quasi che sono sempre ottimisti.
La ricchezza dell’Africa non è il petrolio, non sono i diamanti, la ricchezza dell’Africa sono i bambini. Tanti, tanti bambini, sempre sorridenti, festosi, gioiosi, che ti salutano. Quando sono triste, mi basta andare in mezzo a loro e l’umore cambia. Hanno il senso della gioia, accompagnato da una grande fede.
Sono 38 anni che sono in Costa d’Avorio, ho quasi 80 anni e sono contento di aver speso la mia vita come missionario.
Grazie mille Don Pasquale per la preziosa testimonianza.